Mahu e Rae Rae

In tutta la Polinesia capita spesso di incontrare individui maschi dall’atteggiamento e abbigliamento molto effeminati. Si tratta di Mahu (travestiti o transessuali) o di Rae Rae. Più che di una connotazione sessuale, secondo gli studiosi di cultura e tradizioni polinesiane, si tratta di una connotazione sociale che si iscrive fra le tradizioni dell’epoca pre-europea che i missionari cristiani, nonostante il loro impegno nel cercare di sradicare questi “crimini contro natura” non riuscirono a far cadere in disuso. L’usanza é quella di crescere ed allevare un figlio maschio (alcuni dicono il maggiore, altri il quinto, altri il settimo) come una figlia. La consuetudine voleva infatti (e - sembra - sia ancora in auge) che in una famiglia di numerosi figli maschi, uno diventasse inevitabilmente Mahu. Per questo i Mahu sono ancora perfettamente inseriti e accettati nella società polinesiana come lo erano un tempo. Vestiti da bambina e addetti alle faccende domestiche questi ragazzi sfuggivano anche ai crudeli scontri fra clan dove spesso i giovani maschi perdevano la vita. Diventato adulto il Mahu veniva spesso assunto nelle case degli Arii, i principi e i capi clan, per svolgere la funzione di maggiordomo di fiducia. Oggi sono numerosi gli alberghi e ristoranti che gli assumono perché, dai modi estremamente gentili ed educati, hanno un senso del servizio molto sviluppato. Con l’arrivo degli occidentali, dei marinai e soprattutto dei militari, alcuni Mahu hanno cominciato a vestirsi in modo - oltre che femminile - anche provocante e col tempo hanno iniziato a prostituirsi. Questi individui sono ora chiamati Rae Rae. I Mahu, meno stravaganti dei Rae Rae, spesso vivono in coppia, mentre i Rae Rae rientrano generalmente più nella sfera della tristezza urbana, fra locali notturni, droga, violenza, con una vita ben più difficile. Una volta all’anno il titolo di Miss Vahiné Tané (che significa donna-uomo) celebra il Rae Rae più avvenente. Circolando per la Polinesia se ne vedono parecchi. In realtà non é detto che qui vi siano più transessuali o omosessuali che altrove. Si notano di più perché qui possono vivere liberamente, senza doversi nascondere come accade ancora in taluni paesi occidentali. L’altra sera alcuni di loro si sono esibiti in un bar locale di Neiafu. Uno spettacolo piuttosto discutibile a nostro avviso, non tanto per come si sono mostrati gli o le “artisti/e” quanto piuttosto per il comportamento triviale di parte del pubblico (soprattutto statunitense). A parte le battutacce da caserma é l’usanza di alzarsi per appiccicare una banconota alle nudità sudaticce del ballerino/a o - peggio - di infilarla nel reggiseno o negli slip, che risulta lesiva della dignità umano. Mah, come sempre, paese che vai ...

Romano

Il rito della kava

Un rito tradizionale a cui può capitare di essere invitati, é quello della kava, la “droga”  polinesiana. Questa bevanda é estratta da una radice che porta lo stesso nome, ha un sapore amarognolo, e un colore beige. Sin dall’antichità viene usata in tutte le celebrazioni importanti e é un onore essere invitati a berla con i locali. Lingua e labbra leggermente anestetizzati, sono le sensazioni principalmente riscontrabili di questa bevanda che nel complesso dovrebbe anche avere poteri calmanti e rilassanti che scompaiono dopo poche ore senza alcun effetto collaterale. Sembra che la radice venga importata in Europa e negli Stati Uniti per estrarre dai suoi principi attivi sedativi e ansiolitici naturali. Il rito della kava prevede che tutti i partecipanti (in alcuni villaggi il rito é riservato unicamente agli uomini adulti) si siedano in cerchio attorno a una grande ciotola di legno nella quale viene versata la bevanda (alla radice, pestata e ridotta in polvere, viene aggiunta dell’acqua che filtrata viene bevuta). Un mezzo guscio di cocco viene utilizzato come bicchiere e tutti, a turno, devono bere dalla medesima coppa sorretta con entrambe le mani. Se tutto il liquido contenuto viene bevuto d’un fiato, bisogna dire “amaca” (pronunciato “amaha”) che significa “é vuota” e battere tre volte le mani. A questo punto la persona che ha appena bevuto la kava riempie di nuovo la tazza e serve la persona successiva.

Romano

Vaka Moana

Questo nome contraddistingue la tradizionale canoa a vela ricostruita in sette esemplari nel 2009 all’insegna della visione “Faafaite” ovvero “riconciliazione” con cui l’associazione senza scopo di lucro Pacific Voyagers si propone di riscoprire attraverso un viaggio di sette canoe che collega tutti gli stati della Polinesia, i fratelli e le sorelle disseminati nel pacifico. Le sette canoe, di cui ne abbiamo incontrate due proprio in questi giorni nella baia di Neiafu, perseguono gli obiettivi di ripercorrere le vie della navigazione ancestrale, riscoprire e ricuperare antichi metodi di navigazione che sono eredità comune di questi popoli, e promuovere il rispetto dell’Oceano (Moana) mediante programmi di sviluppo ambientale e culturale. A bordo di queste canoe di 22 metri di lunghezza e 6,5 di larghezza, un equipaggio di 16 persone, generalmente provenienti dai vari stati del Pacifico, impara in questa esperienza interculturale, a navigare secondo metodi primitivi ed ecologicamente sostenibili. Questo non impedisce che al caffé di stamane alcuni membri di equipaggio fossero presenti con il loro PC portatile.
Per chi volesse approfondire l’argomento : www.faafaite.org oppure www.pacificvoyagers.org.