Dopo tanti paesi visitati più o meno superficialmente mi sorge spontaneo l'interrogativo a sapere: quando possiamo affermare di aver veramente visitato un paese? Negli approcci dei naviganti scorgiamo parecchi atteggiamenti. C'è chi si accontenta di ottenere il timbro sul passaporto, visitare la capitale per far provviste e poi riparte. C'è chi si ferma anche a lungo in un determinato paese ma scende a terra solo per la spesa ed evita ogni contatto con i locali. C'è invece chi questo contatto lo cerca. La mancanza di tempo ci impedisce di contrarre la sindrome di Hermann Hesse, ovvero il desiderio di immergersi totalmente nella comunità locale e di condividere pienamente la vita degli altri. Ciò nondimeno, per tentare di capire qualcosa, riteniamo indispensabile un contatto, anche se fugace, con la fruttivendola, la cameriera, il tassista, il custode del marina che a volte - per ottenere un po' di rispetto - è in unif! orme con i gradi di colonnello come qui allo Yacht Club di Honiara.
All'inizio del nostro viaggio avevamo tendenza a rilevare le differenze. Ci siamo però accorti che in realtà queste apparenti differenze erano il frutto di una comprensione insufficiente o superficiale. Pensandoci bene risulta più attendibile e realistico conoscere un nuovo posto per affinità, per quello che ci accomuna, piuttosto che per differenza. Capita, così, frequentemente di ritrovare sé stessi negli altri, di riconoscersi nelle diversità, di accorgersi che la storia si ripete e che la natura umana è la stesa ovunque. Rodney, il tassista che oggi mi ha accompagnato in giro per cercare un filtro dell'olio, non fa mistero della sua insoddisfazione per il sistema “wantok”. Dice che finché impereranno nepotismo e corruzione legati alla cultura del “wantok” non ci potrà mai essere uno sviluppo economico alle Salomon. Quale esempio di cattiva gestione del denaro pubblico m! i indica la strada, il cui manto d'asfalto presenta effettivamente qualche trascurata voragine. Gli dico di non avvilirsi, che in giro per il mondo ne ho viste tante di strade così, indipendentemente dal “wantok” che da noi si chiama partito. A me pare invece che il problema delle Salomon risieda nel sistema scolastico di bassa qualità. Non appena queste isole potranno sfornare persone ben istruite, perspicaci e aperte al mondo, c'è da aspettarsi che ne derivi un sensibile sviluppo. Come alle Vanuatu, sostituire i docenti stranieri (Australiani e Neo Zelandesi) di buon livello con i propri concittadini (mediocri e impreparati) non è stata una buona mossa. Ma divagando non abbiamo ancora risposto all'interrogativo: quando possiamo dire di aver davvero visitato un paese? C'è gente che si accontenta di vedere i principali monumenti. Altri pensano che occorra perlomeno ubriacarsi con qualche indigeno, anche se così facendo s! i corre il rischio di non più ricordarsi dove ci si trova. Altri ancora ritengono sufficiente dormire in quel paese o mangiare cibo locale. Tempo fa, mi è capitato di leggere su un settimanale che qualcuno ha adottato una formula basata sulle funzioni fisiologiche due W 1 P (two wees, one poo, ovvero due pipì e una popò). Può sembrare banale - diceva questo settimanale - ma vi si può intravvedere l'eredità di riti antichi secondo i quali allo straniero era permesso di sostare sicuro, fino a quando il cibo ricevuto quale gesto di ospitalità non avesse percorso il suo intero tragitto attraverso il corpo. Poi... chissà. Sta di fatto, che in base alla nostra modesta esperienza, privato dei rapporti umani il viaggio si riduce ad una sfilata di paesaggi, a poca cosa. Il contatto umano, il dialogo, seppur semplice e "basic" per le difficoltà linguistiche, ma anche il linguaggio non verbale e lo sguardo possono dire molto di una popolazione. Affiancando queste sensazioni alle ! impressioni avute guardandosi attorno ci si può senz'altro fare un'idea del paese. A questo punto penso si possa affermare di esserci stati.