Il diario di viaggio

27 novembre

“Uomo libero, amerai sempre il mare ! Il mare é il tuo specchio : contempli la tua anima nel volgersi infinito dell’onda che rotola”.
Pare quasi si rivolga a noi, Charles Baudelaire.
A Go Go, ormeggiata nell’atmosfera grigia e gelida di un porto mediterraneo alle soglie dell’inverno, suscita una strana malinconia. Da anni ormai, eravamo abituati al caldo perenne dell’Equatore, alla luce accecante del sole, ai colori intensi del cielo azzurro, delle verdi palme, del mare blu cobalto e della sabbia bianchissima; agli incredibili tramonti che ci lasciavano senza parole.
È come se il sipario su questo scenario si fosse chiuso. Il mare é grigioverde; il cielo basso e sporco. Nuvoloni neri scaricano secchi di pioggia. Attrezzatura e manovre, inzuppate, gocciolano. Rivoli scorrono lungo la tuga nelle canaline di scolo e attraverso gli ombrinali si gettano in mare ad alimentare il perpetuo e immenso circolo dell’acqua. Il vento provoca un concerto di sibili, cigolii e ululati, al ritmo frenetico delle drizze che percuotono gli alberi. In giorni come questo, vento e pioggia innescano una tristezza vaga, indefinita, che nella nostra mente rievoca la fine di una lunga navigazione. Barche ormai prigioniere delle loro cime d’ormeggio, saldamente fissate alle bitte sul molo; opera viva ed elica preda di microorganismi e molluschi che instancabili, qui, sulla parte sommersa del nostro scafo, eleggono domicilio. Per lo sfratto dò loro appuntamento a primavera, quando la spatola d’acciaio raschierà nuovamente la pancia di A Go Go per liberarla da questi squatters. Mentre ci allontaniamo dal molo diretti al bar per un caffè c’é rumore di risacca, odore di fuoco fatto con i rami e le foglie dell’autunno, ma anche con i legni alla deriva che si arenano sulle spiagge umide ormai deserte e sugli scogli scolpiti dal paziente moto ondoso. Memorie come istantanee d’altri tempi. D’altre persone. Di noi stessi, forse, quando anche noi eravamo altri. Quando scrutavamo l’orizzonte con occhi d’avventura, in porto immaginavamo solo vagamente oceani immensi e isole sperdute. Vedevamo il mondo in modo diverso da come lo vediamo oggi : guardando al futuro vediamo quanto é passato e il nostro cuore, insaziabile, reclama altre avventure e nuove emozioni.

 

Romano

24 novembre

Nulla di fatto. Torniamo in barca con la coda fra le gambe e le pive nel sacco. Avevamo preso l’autobus per Ragusa con l’intenzione di recarci alla Decathlon per comperare un paio di pedali, un cestello e delle manopole per le nostre “nuove” biciclette di seconda o terza mano. Veicoli indispensabili per chi sta in barca e deve percorrere frettolosamente quasi 800 passi per andare ai bagni più vicini. A quanto ci raccontano, sono “mancati” i soldi per costruire i servizi progettati sul pontile centrale … 
Arrivati a Ragusa chiediamo della coincidenza per il centro commerciale che ospita la Decathlon, sul lato opposto della città, a circa 8 km. L’autista, lasciandoci basiti, si allontana a piedi rispondendo evasivamente che oggi l’autobus non c’é. Scopriamo poi che nei giorni di maltempo il sottopassaggio lungo il percorso si allaga e quindi gli autobus non possono passare.
Vabbè, entro in banca per cambiare un po’ di franchi svizzeri in euro. Questo servizio non c’é. Mi indicano la banca all’angolo. Qui c’é, ma solo per i clienti della banca. Grazie, provo altrove. Per farla breve, su sette banche interpellate, nessuna, proprio nessuna, ha effettuato il cambio di valuta richiesto. Un’operazione semplicissima che perfino alle isole Tonga non ha richiesto più di 15 minuti. Piccoli episodi che come indizi si accumulano in un puzzle per fornirci un quadro generale un po’ ombroso del contesto in cui soggiorniamo. La simpatia e la generosità della gente sono però straordinarie; la gastronomia notevole; ma quanto a servizi ci poniamo qualche interrogativo. Ormai da un mese aspettiamo il preventivo per dei lavori di manutenzione alla barca. Ogni volta che incontriamo e interpelliamo i responsabili di scusano e promettono solennemente di provvedere al più presto. Forse é meglio soprassedere, assaporare il territorio per quel che sa dare e rinviare i lavori a quando saremo in un luogo dove alle parole antepongono i fatti.

 

Romano

25 novembre

Qualche giorno di vento con raffiche a 40 nodi e rabbiosi scrosci di pioggia, tolgono a chiunque ogni velleità di effettuare lavori all’esterno della barca. È quindi il momento propizio per dedicarsi ai lavoretti sottocoperta. Il vento ulula e corica le barche sul fianco facendo scricchiolare le cime d’ormeggio e mettendo a dura prova le bitte imbullonate sul pontile galleggiante. Sono quei momenti dove ogni marinaio é ben contento di essere al sicuro in porto, al di qua del muraglione frangiflutti. Come una marmotte dalla tana, di tanto in tanto, qualcuno fa capolino dal tambucio, per osservare, per controllare che tutto sia in ordine, che non vi siano cose in bando o teloni svolazzanti. A volte anche solo per ammirare con rispetto e rinnovato stupore la forza incommensurabile della natura. Rigorosamente imbacuccato nella cerata il nostro vicino olandese esce in coperta per fissare un telone e cazzare una drizza che sbatte ritmicamente contro l’albero provocando un rumore assordante. All’interno, in dinette e nelle cabine, la differenza di temperatura con l’ambiente esterno forma delle grosse gocce di condensa. Al nostro risveglio, stamane, in dinette misuravamo 13°C. Come non ricordare con nostalgia i 35°C delle Fiji …

 

Romano