Notizie varie
Le Vanuatu
La storia delle Vanuatu é molto simile a quella degli altri arcipelaghi del Pacifico. La popolazione viveva raggruppata in clan all’interno di piccoli villaggi, ognuno con una propria lingua, spesso separati da ostacoli naturali invalicabili come aspre montagne e litorali rocciosi. La vita era scandita dai riti in onore degli antenati che potevano essere benevoli ma anche ostili : contrariarli significava andare incontro a carestie, cicloni, attacchi nemici e altre simili disgrazie. Contro la rabbia degli spiriti la migliore arma di difesa erano pertanto le arti magiche.
Tra le isole fiorirono i commerci assicurati da grandi canoe. Tra un villaggio e l‘altro invece, i rapporti non erano sempre amichevoli. Le schermaglie erano all’ordine del giorno e capitava spesso che il vincitore si riservasse un paio di uomini per mangiarseli.
I primi europei a sbarcare a Vanuatu, nel maggio del 1606, furono i membri della spedizione spagnola guidata da Pedro Fernandez de Quirós. Successivamente giunsero all’arcipelago Louis-Antoine de Bougainville (1768) e l’onnipresente James Cook (1774, nel corso della sua seconda spedizione nel Pacifico). Il primo missionario cristiano di questo arcipelago fu il reverendo John Williams della London Missionary Society che tuttavia fu ucciso e mangiato nel 1839. A partire dal 1854 a Vanuatu si insediarono molti coloni inglesi e francesi, allettati dalla possibilità di produrre cotone il cui prezzo durante la Guerra Civile Americana era salito alle stelle. Le risse fra inglesi e francesi erano frequenti e altrettanto comuni erano gli scontri tra i nuovi coloni e i Ni-Vanuatu (i nativi) che rivendicavano il possesso delle loro terre. Come avvenne in altre zone del Pacifico gli abitanti delle isole furono decimati dalle malattie portate dagli europei. Secondo alcune stime la popolazione di Vanuatu passò da 1 milione circa agli inizi del XIX secolo ad appena 41’000 unità nel 1935. Attualmente le Vanuatu contano 206’000 abitanti.
Una particolarità storica delle Vanuatu é rappresentata da un curioso “condominio” anglo-francese. Nel 1906, infatti, preoccupati per la crescente influenza dei tedeschi nella regione, i governi di Gran Bretagna e Francia, in un singolare momento di solidarietà, diedero vita a una forma di “condominio” nelle cosiddette “Nuove Ebridi”. In base all’accordo, Vanuatu diventava zona soggetta all’influenza congiunta delle potenze coloniali su base paritaria. Il condominio, spesso chiamato ironicamente “pandemonio”, dimostrò ben presto la propria inefficienza. La doppia amministrazione aveva prodotto una bizzarra duplicazione di autorità : due sistemi scolastici, due forze di polizia e due monete. Anche le norme della circolazione stradale suscitavano confusione, dato che gli inglesi avevano la guida a sinistra e i francesi a destra. All’inizio della seconda guerra mondiale a Vanuatu giunsero le forze statunitensi che costruirono delle basi militari. A seguito della sconfitta dei giapponesi nel 1945 gli americani si ritirarono abbandonando una gran quantità di attrezzature militari in gran parte gettate in mare. Nei prossimi giorni andremo a vedere cosa ne resta. Attorno alla metà degli anni 60 del novecento la proprietà della terra divenne una delle principali questioni politiche a Vanuatu e fu la scintilla che innescò la lotta per l’indipendenza nel paese. Fu così che la diffusione della coscienza politica indusse le autorità del condominio anglo-francese a fissare le prime elezioni generali del paese che si tennero nel novembre del 1979 e nelle quali il Vanua’aku Party riportò una vittoria schiacciante. L’indipendenza fu dichiarata il 30 luglio 1980.
La proprietà della terra, del mare, delle barriere coralline e di tutto quanto é considerato retaggio degli antenati, costituisce un aspetto fondamentale nella vita dei Ni-Vanuatu. Tutti i villaggi sono amministrati da un capo che funge da portavoce e da giudice. La sua parola é legge. I capi vengono designati nel corso di cerimonie dette “Nimangki” (conquista del grado) che prevedono anche sontuosi banchetti. Ogni gradino della scala sociale del villaggio é accompagnato dall’uccisione rituale dei maiali, perciò soltanto uomini abbastanza ricchi da possedere un buon numero di maiali, possono aspirare ai gradi più elevati della scala gerarchica. Un giovane ha bisogno di una moglie che si occupi dei suoi maiali, ma non può iniziare a cercar moglie finché non si é costruito una casa.
Come negli altri arcipelaghi della Polinesia il fulcro della vita sociale del villaggio é rappresentato dal “Nakamal”, una sorta di circolo maschile e museo del clan, dove gli uomini si incontrano per discutere le questioni del villaggio e del paese in generale. Il Nakamal tradizionale é sempre rigorosamente tabu per le donne. Anche le donne però hanno propri luoghi di ritrovo dove producono articoli destinati alla vendita, come ad esempio le sezioni dei tetti fatte con foglie intrecciate. Le donne trascorrono molte ore nell’orto di famiglia e badano ai maiali del marito (vedo Luana contenta di essere per mare), mentre gli uomini coltivano, pescano, cacciano, costruiscono barche e scolpiscono oggetti.
Prima di cena gli uomini sono soliti riunirsi nel Nakamal dove discorrono e bevono cava.
Nelle zone più influenzate dalle usanze tradizionali (kastom) delle isole Tanna e Pentecost, gli uomini indossano ancora tutti i giorni il Namba (astuccio penico, pregusto già il momento in cui ne acquisterò uno per me), mentre le donne portano gonnellini hawaiani. A Santo gli uomini usano il “mal mal” (perizoma) e alcune donne portano una sorta di grembiule fatto di foglie.
La lingua nazionale alle Vanuatu é il “bislama”, una forma di “bidgin” nata dall’incontro tra l’idioma locale e l’inglese. Anche l’inglese e il francese sono ampiamente diffusi e sono le lingue principali usate per l’insegnamento.
(fonte principale: Lonely Planet del sud Pacifico)
SOS e MAYDAY
SOS, il significato di questa drammatica sigla.
“Save our souls”. Secondo alcuni, le lettere S.O.S. che anticipano una richiesta di soccorso sarebbero l’acronimo dell’espressione inglese “salvate le nostre anime”. In realtà non é così. Le lettere S.O.S. sono state adottate nel 1906 da una commissione internazionale perché nel codice Morse costituiscono una serie molto caratteristica : ...---..., ovvero tre punti, tre linee, tre punti.
MAYDAY
Percontro, la chiamata di soccorso “MAYDAY” che si utilizza in fonia, via radio, pure adottata su scala internazionale, proviene dall’espressione francese “m’aider”, aiutatemi.
Varie informazioni sulle Tonga
Mahu e Rae Rae
In tutta la Polinesia capita spesso di incontrare individui maschi dall’atteggiamento e abbigliamento molto effeminati. Si tratta di Mahu (travestiti o transessuali) o di Rae Rae. Più che di una connotazione sessuale, secondo gli studiosi di cultura e tradizioni polinesiane, si tratta di una connotazione sociale che si iscrive fra le tradizioni dell’epoca pre-europea che i missionari cristiani, nonostante il loro impegno nel cercare di sradicare questi “crimini contro natura” non riuscirono a far cadere in disuso. L’usanza é quella di crescere ed allevare un figlio maschio (alcuni dicono il maggiore, altri il quinto, altri il settimo) come una figlia. La consuetudine voleva infatti (e - sembra - sia ancora in auge) che in una famiglia di numerosi figli maschi, uno diventasse inevitabilmente Mahu. Per questo i Mahu sono ancora perfettamente inseriti e accettati nella società polinesiana come lo erano un tempo. Vestiti da bambina e addetti alle faccende domestiche questi ragazzi sfuggivano anche ai crudeli scontri fra clan dove spesso i giovani maschi perdevano la vita. Diventato adulto il Mahu veniva spesso assunto nelle case degli Arii, i principi e i capi clan, per svolgere la funzione di maggiordomo di fiducia. Oggi sono numerosi gli alberghi e ristoranti che gli assumono perché, dai modi estremamente gentili ed educati, hanno un senso del servizio molto sviluppato. Con l’arrivo degli occidentali, dei marinai e soprattutto dei militari, alcuni Mahu hanno cominciato a vestirsi in modo - oltre che femminile - anche provocante e col tempo hanno iniziato a prostituirsi. Questi individui sono ora chiamati Rae Rae. I Mahu, meno stravaganti dei Rae Rae, spesso vivono in coppia, mentre i Rae Rae rientrano generalmente più nella sfera della tristezza urbana, fra locali notturni, droga, violenza, con una vita ben più difficile. Una volta all’anno il titolo di Miss Vahiné Tané (che significa donna-uomo) celebra il Rae Rae più avvenente. Circolando per la Polinesia se ne vedono parecchi. In realtà non é detto che qui vi siano più transessuali o omosessuali che altrove. Si notano di più perché qui possono vivere liberamente, senza doversi nascondere come accade ancora in taluni paesi occidentali. L’altra sera alcuni di loro si sono esibiti in un bar locale di Neiafu. Uno spettacolo piuttosto discutibile a nostro avviso, non tanto per come si sono mostrati gli o le “artisti/e” quanto piuttosto per il comportamento triviale di parte del pubblico (soprattutto statunitense). A parte le battutacce da caserma é l’usanza di alzarsi per appiccicare una banconota alle nudità sudaticce del ballerino/a o - peggio - di infilarla nel reggiseno o negli slip, che risulta lesiva della dignità umano. Mah, come sempre, paese che vai ...
Romano
Il rito della kava
Un rito tradizionale a cui può capitare di essere invitati, é quello della kava, la “droga” polinesiana. Questa bevanda é estratta da una radice che porta lo stesso nome, ha un sapore amarognolo, e un colore beige. Sin dall’antichità viene usata in tutte le celebrazioni importanti e é un onore essere invitati a berla con i locali. Lingua e labbra leggermente anestetizzati, sono le sensazioni principalmente riscontrabili di questa bevanda che nel complesso dovrebbe anche avere poteri calmanti e rilassanti che scompaiono dopo poche ore senza alcun effetto collaterale. Sembra che la radice venga importata in Europa e negli Stati Uniti per estrarre dai suoi principi attivi sedativi e ansiolitici naturali. Il rito della kava prevede che tutti i partecipanti (in alcuni villaggi il rito é riservato unicamente agli uomini adulti) si siedano in cerchio attorno a una grande ciotola di legno nella quale viene versata la bevanda (alla radice, pestata e ridotta in polvere, viene aggiunta dell’acqua che filtrata viene bevuta). Un mezzo guscio di cocco viene utilizzato come bicchiere e tutti, a turno, devono bere dalla medesima coppa sorretta con entrambe le mani. Se tutto il liquido contenuto viene bevuto d’un fiato, bisogna dire “amaca” (pronunciato “amaha”) che significa “é vuota” e battere tre volte le mani. A questo punto la persona che ha appena bevuto la kava riempie di nuovo la tazza e serve la persona successiva.
Romano
Vaka Moana
Questo nome contraddistingue la tradizionale canoa a vela ricostruita in sette esemplari nel 2009 all’insegna della visione “Faafaite” ovvero “riconciliazione” con cui l’associazione senza scopo di lucro Pacific Voyagers si propone di riscoprire attraverso un viaggio di sette canoe che collega tutti gli stati della Polinesia, i fratelli e le sorelle disseminati nel pacifico. Le sette canoe, di cui ne abbiamo incontrate due proprio in questi giorni nella baia di Neiafu, perseguono gli obiettivi di ripercorrere le vie della navigazione ancestrale, riscoprire e ricuperare antichi metodi di navigazione che sono eredità comune di questi popoli, e promuovere il rispetto dell’Oceano (Moana) mediante programmi di sviluppo ambientale e culturale. A bordo di queste canoe di 22 metri di lunghezza e 6,5 di larghezza, un equipaggio di 16 persone, generalmente provenienti dai vari stati del Pacifico, impara in questa esperienza interculturale, a navigare secondo metodi primitivi ed ecologicamente sostenibili. Questo non impedisce che al caffé di stamane alcuni membri di equipaggio fossero presenti con il loro PC portatile.
Per chi volesse approfondire l’argomento : www.faafaite.org oppure www.pacificvoyagers.org.
Morinda Citrifolia o Noni
Si dice che il Noni sia arrivato nel Pacifico oltre 2000 anni fa, quando i popoli colonizzatori di queste isole portarono con sé la pianta quale fonte di cibo e medicinale. Questo frutto era quindi apprezzato non solo per i suoi valori nutrizionali ma anche per le proprietà curative. I popoli del sud pacifico non si sarebbero mai messi in navigazione senza portare con sé questo prezioso vegetale.
Come detto tutte le parti della pianta vengono utilizzate. Gli antichi polinesiani oltre al succo, utilizzavano le foglie come bendaggi o impacchi per le ferite. Per trattare infiammazioni e infezioni usavano invece le radici o la corteccia. Da alcune ricerche effettuate sull’utilizzo del noni, sembra che questa pianta fosse la più popolare e utilizzata. Ancora oggi questa pianta viene coltivata in tutto il sud Pacifico proprio per le sue proprietà salutari.
Tradizionalmente il frutto veniva quindi usato per diabete, alitosi, emorroidi, tumori, tubercolosi, alta pressione, e quale fortificante per la salute in generale e energetico. Le foglie venivano ingerite per guarire artriti, problemi di digestione, parassiti e dissenteria.
Attualmente, foglie, frutto e radici, una volta ridotte in poltiglia, vengono utilizzate per artriti, dolori articolari, mal di testa, bruciature e lesioni, punture di insetti, e per lottare contro i segni dell’età.
Il Noni viene anche assunto da alcuni ammalati di cancro in quanto gli si attribuiscono proprietà anticancerogene e riduttrici di tumori. Persone ammalate di AIDS o che soffrono di un affaticamento cronico prendono il Noni poiché dicono rinforzi il sistema immunitario. Pazienti ammalati di diabete e ipoglicemia testimoniano di aver trovato giovamento con l’assunzione del Noni che ne ha stabilizzato il livello di zucchero nel sangue. Testimonianze anche di ammalati di artrite, dolori articolari, mal di testa e infiammazioni in generale dichiarano di aver trovato giovamento. Viene utilizzato anche quale sedativo, antidolorifico i generale e sonnifero. Il succo di Noni è raccomandato quale aiuto per chi soffre di problemi di stomaco e per la digestione. Infine anche per il controllo del peso.
Per tutto questo il Noni é anche conosciuto come “miracle fruit”.
Luana
Formalità di ingresso in un nuovo paese
27 agosto
Quando si arriva in barca in un altro paese, occorre osservare scrupolosamente un determinato iter, la cui inosservanza potrebbe costar cara a dipendenza della sensibilità e del rigore con cui le autorità locali considerano e svolgono il loro compito istituzionale. La prima regola é arrivare in un porto ufficiale d’entrata, dove barca ed equipaggio possano mettersi a disposizione degli incaricati dell’immigrazione, della dogana, della salute e dell’agricoltura. A tale scopo, prima di raggiungere il porto si issa la bandierina gialla che corrisponde alla lettera “Q” di quarantena nel codice internazionale dei segnali, per indicare che la barca é “indenne” (vale a dire non vi sono a bordo persone affette da malattie contagiose) e pertanto chiede “libera pratica”. Assieme alla bandiera gialla, non appena si entra nelle acque territoriali (di regola circa tre miglia dalla costa) si issa anche la bandierina di cortesia del paese in cui si arriva. L’importante é tener presente che non si deve mai, in nessun luogo, ormeggiare e scendere a terra prima di aver ottenuto l’autorizzazione. Di regola é sufficiente una chiamata via radio VHF alla dogana o alle autorità portuarie o al marina. All’arrivo si devono poi seguire le istruzioni ricevute via radio, andando ad ormeggiare al posto assegnato. Attraverso la VHF ci si accerta pure se saranno gli ufficiali a venire a bordo o se lo skipper dovrà recarsi a terra negli uffici. Le barche in arrivo vengono generalmente visitate dalla dogana e dall’immigrazione. In alcuni paese vengono pure ispezionate da ufficiali sanitari e agroalimentari preposti al servizio di quarantena per le piante e gli animali (ad esempio le Galapagos, la Nuova Zelanda e l’Australia), dalla guardia costiera, dalla sicurezza e a volte perfino dalla polizia segreta. In alcuni paese come l’Australia, la Nuova Zelanda e la Nuova Caledonia, le regole sulla quarantena sono molto rigide. La maggior parte dei viveri di bordo viene confiscata e distrutta. A volte (ad esempio alle Galapagos o in Colombia) le formalità d’entrata o di transito (Canale di Panama o di Suez) sono alquanto complesse, richiedono tempo, la conoscenza della lingua locale e la localizzazione di vari uffici sparsi per la città. Si rivela quindi praticamente necessario far capo ad un agente del posto che faciliterà la procedura facendo risparmiare tempo e grattacapi. In tal caso é bene affidarsi al passaparola fra barche per evitare di capitare su agenti senza scrupoli. L’agente giusto può infatti diventare un buon punto di riferimento anche per altre necessità come riparazioni, provviste, approvvigionamento di acqua e carburante. Alle Marchesi abbiamo incontrato una barca di una famiglia francese ferma ormai da cinque mesi in attesa dei pezzi di ricambio del motore che si era guastato perché a Panama si erano lasciati allettare da una fornitura di carburante a prezzo ridotto sul mercato nero per poi scoprire che il carburante conteneva il 40% di acqua di mare. Insidie e tentazioni sono dietro l’angolo in paesi sconosciuti.
Romano
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